Serre, Festa dell’Olio dal 28 al 30 dicembre Pagina Facebook Voce di Strada Profilo Twitter Voce di Strada

Serre. “‘A Chiena”- Intervento co-finanziato dal POC Campania 2014-2020. Rigenerazione urbana, politiche per il turismo e la cultura. Programma unitario di percorsi turistici di tipo culturale, naturalistico ed eno-gastronomico di portata nazionale e internazionale, firmato da Antonello Mercurio, ritorna nel comune di Serre, dal 28 al 30 dicembre, per firmare la colonna sonora della Festa dell’Olio.

Feste, riti e lanterne ad olio, per festeggiare la chiusura del raccolto e l’oro giallo di queste colline, simbolo di sapienza, amore, fraternità, elezione divina e dello spirito di Dio che conferisce la missione. Infiniti gli usi, dalla cucina, all’ alimentazione delle lampade, sia quelle della casa sia quelle dei santuari balsamo per curare le piaghe, pulizia personale, composizione dei profumi e tanto altro. Il  giovane sindaco Antonio Opramolla ha organizzato in grande questa tre giorni prevede buon cibo e musica d’eccezione a partire dalle ore 21, sempre presso il Palazzo Ducale (presso l’Auditorium Marco Simoncelli in caso di pioggia), con momenti di festa e anche riflessioni su questo elemento, nel corso di un convegno, che permetteranno a tutti i serresi e a tutti i visitatori di vivere dei momenti di arricchimento culturale e sana socialità.

Il primo momento musicale  mercoledì 28 dicembre, vedrà accendersi i riflettori su “I Tamburi del Vesuvio”, con i quali si parte da Napoli e si viaggia per tutto il mondo, unendo la cultura partenopea a quelle che di volta in volta s’incontrano in questo lungo itinerario. Il Vesuvio come ombelico del mondo. Nel vulcano Vesuvio pulsano i ritmi che da sempre accompagnano i canti ed i balli tradizionali dell’area campana e di tutta l’Italia centro-meridionale. Ma questa terra fertile ha accolto anche il battito ritmico di nuove genti che da altri luoghi, attraversando il grande mare, sono approdati quaggiù. Così la terra vulcanica rispetta la sua natura e il Vesuvio è il “grande tamburo” che scandisce il tempo per canti antichi e per nuove contaminazioni.

La tre giorni continuerà giovedì 29 dicembrecon il concerto di Enzo Gragnaniello, con il quale si ritornerà alle “radici”, che raccolgono la storia di un popolo che attraverso altissimi versi e musica immortale, si è posto in cammino, cantando il suo amore, aprendosi ad ogni contaminazione, pur mantenendo intatta la propria inconfondibile identità, misteriosa e sfuggente, e con esse il senso della “Nuova musica”, che vuole il nostro tempo veder coesistere una tale mescolanza di stili, di linguaggi, di norme di vita, rendendoci partecipi dei suoi appunti per lo studio di un dialogo della musica napoletana, con tutti gli altri generi. Storia collettiva e vissuti individuali saranno raccontati in musica e poesia dal canto di Enzo Gragnaniello, portatore anche di un ricco patrimonio di “bellezza”, attraverso quell’ amore particolare che ritroveremo in tutti i brani del viaggio di Enzo, tra i diversi e comuni linguaggi del mare nostrum, un fluxus musicale ossessivo e mistico spaziante dall’Africa, a Napoli, dai colori caldi e avvolgenti, specchio del suo “contaminato” sentire interiore, che anima una vita ricchissima dell’immaginario, del mitico, del magico, del religioso, del simbolico, su cui fondiamo la nostra millenaria cultura.

Gran finale venerdì 30 dicembre con Piera Lombardi, i ritmi e i suoni   del nostro duro e accogliente Sud, crogiuolo e incrocio di tutte le culture musicali, carta porosa, che mira ad unire in musica quello che nella vita di tutti i giorni è tragicamente disunito: l’oriente e l’occidente entrambi affacciati sul Mediterraneo che sembrano non essere più capaci più di guardarsi negli occhi e dialogare. Da “Terronia”, una delle sue canzoni più ironiche e amare a”Tiritituppitì”, una tarantella d’amore, per gustare la poesia della musica tradizionale del mare nostrum che significa provare ad entrare “dentro” il vissuto e l’immaginario delle donne e degli uomini la cui storia ha “creato” i canti che ci sono stati tramandati dalla memoria collettiva. La poesia dei canti della nostra tradizione racconta di “mali antichi”, ancora oggi presenti in altre forme o che potrebbero ritornare: l’arroganza sicura dei potenti e la riverenza timorosa dei “sottomessi”, la subalternità della donna e il senso di supremazia dell’uomo, gli “strappi” provocati delle partenze di guerra o di lavoro, i divieti sociali imposti alla libertà di amare, il malessere interiore di cui nessuno si accorge, le violenze e le ingiustizie taciute,  quei tipi di lavoro che “consumano” il corpo e lo spirito, la paura di un futuro con magre prospettive o il grigio senso di rassegnazione. Questo ed altro fa parte della storia collettiva e dei vissuti individuali raccontati in musica e poesia dai canti tradizionali i quali, tuttavia, sono portatori anche di un ricco patrimonio di “bellezza”: il fascino della melodia, la capacità di improvvisazione, la “libertà” di “rivestire di sé” un canto, la capacità di creare e usare metafore profonde e sorprendenti, l’originalità di melodie uniche, la forza del sentimento “vero” contro ogni divieto “artificioso”, il senso di ribellione alle ingiustizie, l’umorismo con cui affrontare le peripezie della vita.

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